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Tavola di Polcevera

Museo di Archeologia Ligure
Denominazione/dedicazione (OGTN)
Tavola di Polcevera
OGT
OGTD:
tavola
Ambito culturale (ATB)
ATBM:
iscrizione
ATBD:
periodo romano
Indicazioni sull'oggetto (DESO)
Tavola bronzea di forma quadrangolare.
Inventario di museo o soprintendenza (INV)
INVN:
577
INVD:
1911
INVC:
Museo di Archeologia Ligure
Cronologia generica (DTZ)
Frazione cronologica (DTZS):
ultimo quarto
Fascia cronologica di riferimento (DTZG)
II a.C.
MTC
MTC:
bronzo- a incisione
MTC:
bronzo- fusione
Notizie storico-critiche (NSC)
La tavola fu trovata nel 1506 nei pressi di Isola (Pedemonte di Serra Riccò) da un contadino, Agostino Pedemonte, mentre dissodava il terreno di sua proprietà; subito portata a Genova per essere venduta, la tavola bronzea fu acquistata da un calderaio; ma nella sua bottega uno studioso, forse A. Giustiniani, segnalò il ritrovamento e la sua importanza al governo della città, che acquistandola la salvò dalla imminente distruzione. Un decreto del 1507 ci informa che la tavola venne affissa nel duomo di San Lorenzo, vicino alla cappella di S. Giovanni Battista, per volontà del governatore francese Rodolfo de Lannoy e del consiglio degli anziani che, per l'occasione incaricarono lo scultore Viscardi di eseguire una cornice in marmo bianco atta a contenerla. In data non precisata da alcun documento ufficiale, la tavola venne trasferita dal duomo all'ormai scomparso Palazzo dei Padri del Comune, nei pressi di Palazzo S. Giorgio dove rimase fino al 1838 quando, a causa della demolizione dell'edificio, venne trasferita a Palazzo Ducale, allora sede degli uffici comunali, e depositata nella cassaforte della civica tesoreria. Nel 1850 con il trasferimento degli uffici a Palazzo Tursi, anche la tavola ne seguì la sorte e trovò posto nella sala a destra del vecchio consiglio, l'attuale ufficio del sindaco. Nel 1908, con l'istituzione del Museo Civico di Palazzo Bianco, la tavola venne qui trasferita e murata con la sua cornice cinquecentesca alla parete sud della sala romana, e ancora nel 1929, trovò ulteriore collocazione nell'ufficio del Podestà. Durante la seconda guerra mondiale la tavola venne ricoverata nella tesoreria del comune e, alla fine del conflitto, ricollocata con la sua cornice cinquecentesca nell'ufficio del sindaco. Nel 1978, in occasione del suo primo restauro, fu di nuovo esposta al pubblico per un breve periodo durante la mostra "Restauri di Liguria" e fu allora, infine, che si decise, dopo una lunga riflessione, di cercare una nuova e, questa volta definitiva, collocazione della tavola nel Museo di Archeologia Ligure a Genova-Pegli. Traduzione dell'iscrizione: Quinto e Marco Minucio Rufo, figlio di Quinto, riguardo alle controversie tra Genuati e Viturii, fecero una ricognizione sul terreno e in presenza dei contendenti composero la controversia e stabilirono secondo quali norme dovessero possedere l’agro e dove dovesse passare il confine. Ordinarono loro di seguire il confine e apporre i termini e, fatto ciò, di venire personalmente a Roma. A Roma in loro presenza, pronunziarono la sentenza per senatoconsulto il 15 dicembre sotto il consolato di Lucio Cecilio figlio di Quinto e Quinto Mucio figlio di Quinto. Dov’è agro privato del castello di Viturii, essi possono venderlo e lasciarlo in eredità. Questo agro non sarà sottoposto a tassa. Confini dell’agro privato dei Langati. Dall’estremità inferiore del rio che nasce dalla fonte in Mannicelo al fiume Edo ( qui è posto un termine); poi, risalendo il fiume fino al fiume Lemori e per il fiume Lemori in su fino al rio Comberanea, poi per il rio Comberanea in su fino alla convalle Ceptiema (qui sono posti i due termini, di qua e di là della via Postumia). Da tali termini in linea retta al rio Vindupale, dal rio Vindupale al fiume Neviasca, dal fiume Neviasca giù fino al fiume Porcobera, e di lì in giù fino all’estremità inferiore del rio Vinelasca (qui è posto un termine); risalendo in linea retta il rio Vinelasca , ove è posto un termine al di qua della via Postumia, e un altro termine al di là della via, dal termine posto al di là della via Postumia, in linea retta fino alla fonte in Manicello, poi giù fino al termine posto presso il fiume Edo. I confini dell’agro pubblico che I Laganensi possiedono risultano essere questi. Il primo termine è posto alla confluenza dell’Edo e del Porcobera. Di qui per il fiume Edo in su fino ai piedi del monte Lemurino (termine), in su in linea retta per la costa Lemurina (termine), ancora per la costa Lemurina ( qui è posto un termine sul monte che si affaccia sulla cavità), poi su dritto per costa alla sommità del monte Lemurino ( termine), poi su dritto per costa al castello che è stato chiamato Aliano ( termine), poi su dritto per costa al monte Giovenzione ( termine), poi su dritto per costa al monte appennino che si chiama Boplo ( termine); poi l’appennino dritto per la costa al monte Tudelone ( termine); poi giù dritto per la costa al fiume Veraglasca, ai piedi del Monte Berigiema ( termine), poi su dritto per costa al monte Prenicco ( termine), poi giù dritto al fiume Tulelasca ( termine), poi su dritto per la costa Blustiemela al monte Claxelo ( termine), poi in giù alla fonte Lebriemela ( termine), poi dritto per il rivo Eniseca al fiume Porcobera ( termine), poi giù per il fiume Porcobera fino alla confluenza Edo- Porcobera, dove è posto un termine. L’agro che è dichiarato pubblico, i Laganensi Viturii abitanti del castello possono possederlo e goderne. Per tale agro i Laganensi Viturii verseranno al tesoro pubblico, a Genova, 400 nummi vittoriani ogni anno. Se i Laganensi non verseranno tale somma e non soddisferanno all’arbitrato dei Genuati, a meno che i Genuensi non tardino a riscuotere la somma, in tal caso i Laganensi dovranno verasare al Tesoro di Genova, di tutto quanto sarà stato prodotto nell’agro, 1/20 del frumento e 1/6 del vino ogni anno. Chi possederà (un podere) entro tali confini, Genuate o Viturio, alla data del 1° giugno del consolato di Lucio Cecilio e di Quinto Mucio, potrà continuare a possederlo e goderlo. Tali possessori pagheranno la tassa ai Langanensi secondo la loro posizione così come gli altri Langanensi che possederanno e godranno un podere in tale agro. Oltre a questi possessi, nessuno potrà possedere se non con l’approvazione della maggioranza dei Langanensi Viturii e condizione che non faccia subentrare, Genuate o Viturio, per coltivare. Chi non obbedirà al parere della maggioranza dei Langanensi Viturii non avrà né godrà tale agro. Nell’agro che sarà compascuo, nessuno proibisca né impedisca con la forza ai Genuati e ai Viturii di pascolare il bestiame, così come nel resto dell’agro compascuo Genuate; e nessuno proibisca che vi raccolgano legna e legname e ne facciano uso. La tassa del primo anno i Langanensi Viturii debbono versarla al tesoro di Genova il 1° gennaio dell’anno successivo. Per quanto i Laganensi hanno goduto prima del 1° gennaio prossimo venturo, non debbono pagare nessuna tassa se non vogliono. Quando, nell’anno di consolato di Lucio Cecilio e di Quinto Mucio, i prati dell’agro saranno prossimi al taglio ( i prati dell’agro pubblico posseduto dai Viturii Langanesi, di quello posseduto dagli Odiati, di quello dei Mentovini di quello dei Cavaturini), nessuno potrà tagliarvi o pascolarvi senza il consenso dei Langanensi, degli Odiati, dei Dectumini, dei Cavaturini e dei Mentovini, ciascuno per il proprio agro. Se i Langati, gli Odiati, i Dectumini, i Cavaturini e i Mentovini preferiscono costruire, cintare, tagliare altri prati in tale agro, potranno farlo a condizione che la misura totale dei prati non superi quella dell’estate passata. I Viturii che, in occasione delle controversie con i Genuensi sono stati giudicati o condannati per ingiurie, se qualcuno è in carcere per tali motivi, i Genuensi dovranno liberarli e proscioglierli prima del prossimo 15 giugno. Se a qualcuno sembrerà iniquo qualcosa di quanto è contenuto in questa sentenza, si rivolgano a noi, ogni primo giorno del mese, e siano liberi da tutte le controversie oneri pubblici. Segue la firma dei legati: Mocone Meticanio, giglio di Meticone. Plauco Peliano, figlio di Pelione. Trad. G. Petracco Siccardi