Tito Livio dedica buona parte del ventisettesimo capitolo del quinto libro della sua Storia di Roma al racconto di un fatto avvenuto nel 394 a.C. durante la guerra condotta dai Romani contro i Falisci: un maestro della città di Falerii, approfittando della fiducia accordatagli dalle famiglie più eminenti con l’affidamento alle sue cure dei loro figli, li condusse fuori città e, a loro insaputa, fino all’accampamento romano affinché fossero catturati come ostaggi; Furio Camillo, che aveva il comando dell’esercito romano, rifiutò l’opportunità ed esecrando in una nobile orazione lo spregevole comportamento del pedagogo, lo fece ricondurre a Falerii scortato dai suoi stessi allievi ma armati di bastoni affinché cominciassero già loro a punire il vile maestro.
Non identificato in inventario, il soggetto di questo foglio par proprio rappresentare l’esito dell’episodio narrato da Livio col maestro, riconoscibile dal dettaglio delle mani legate dietro alla schiena, che incede incalzato da alcuni giovani che levano dei bastoni contro di lui; tra le figure in secondo piano a sinistra si potrebbe pensare di riconoscere Camillo nel personaggio che la postura del braccio destro dimostra stia parlando, ancorché l’ambientazione urbana risponda più al momento del ritorno a Falerii piuttosto che all’accampamento romano.
Sempre in inventario il foglio era stato registrato come di ignoto genovese del XVI-XVII secolo, con l’aggiunta tra parentesi “seguace del Tavarone”; è stata poi Mary Newcome, con una nota manoscritta, a rivendicarlo direttamente al maestro, riconoscendosi effettivamente nel disegno i modi dell’artista, ancorché credibilmente in una fase non avanzata della sua carriera, per un verso ancora molto legata agli insegnamenti di Luca Cambiaso suo maestro, e per l’altro contigua a certi esiti del più o meno coetaneo Giovan Battista Paggi, che pure tanto doveva a Luca.
Non si conosce una traduzione pittorica di questo soggetto, che pure risulta quadrettato: temi di storia romana di questo genere moraleggiante Tavarone affrescò nel 1617 nel palazzo di Ambrogio Doria Lamba, attuale sede della Banca di Roma, mentre una certa rispondenza compositiva si riscontra con la figura di uno dei prigionieri che seguono il carro trionfale di Ranieri Grimaldi nella scena centrale della volta del piano nobile del palazzo di Francesco Grimaldi, quello che oggi è la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, riferito cronologicamente allo stesso periodo. (Boccardo in Boccardo, Priarone 2009, p. 8)
Sul verso, sulla carta di controfondo, in alto a destra (a inchiostro): "Un condannato d'incognito" e un'altra scritta tagliata non più leggibile; in alto a sinistra (a matita): "1629", a destra: "Cart. 13 n. 217", in basso a destra: "11987-1379", in basso a sinistra (a inchiostro) scritta tagliata non più leggibile
Notizie storico-critiche (NSC)
Tito Livio dedica buona parte del ventisettesimo capitolo del quinto libro della sua Storia di Roma al racconto di un fatto avvenuto nel 394 a.C. durante la guerra condotta dai Romani contro i Falisci: un maestro della città di Falerii, approfittando della fiducia accordatagli dalle famiglie più eminenti con l’affidamento alle sue cure dei loro figli, li condusse fuori città e, a loro insaputa, fino all’accampamento romano affinché fossero catturati come ostaggi; Furio Camillo, che aveva il comando dell’esercito romano, rifiutò l’opportunità ed esecrando in una nobile orazione lo spregevole comportamento del pedagogo, lo fece ricondurre a Falerii scortato dai suoi stessi allievi ma armati di bastoni affinché cominciassero già loro a punire il vile maestro.
Non identificato in inventario, il soggetto di questo foglio par proprio rappresentare l’esito dell’episodio narrato da Livio col maestro, riconoscibile dal dettaglio delle mani legate dietro alla schiena, che incede incalzato da alcuni giovani che levano dei bastoni contro di lui; tra le figure in secondo piano a sinistra si potrebbe pensare di riconoscere Camillo nel personaggio che la postura del braccio destro dimostra stia parlando, ancorché l’ambientazione urbana risponda più al momento del ritorno a Falerii piuttosto che all’accampamento romano.
Sempre in inventario il foglio era stato registrato come di ignoto genovese del XVI-XVII secolo, con l’aggiunta tra parentesi “seguace del Tavarone”; è stata poi Mary Newcome, con una nota manoscritta, a rivendicarlo direttamente al maestro, riconoscendosi effettivamente nel disegno i modi dell’artista, ancorché credibilmente in una fase non avanzata della sua carriera, per un verso ancora molto legata agli insegnamenti di Luca Cambiaso suo maestro, e per l’altro contigua a certi esiti del più o meno coetaneo Giovan Battista Paggi, che pure tanto doveva a Luca.
Non si conosce una traduzione pittorica di questo soggetto, che pure risulta quadrettato: temi di storia romana di questo genere moraleggiante Tavarone affrescò nel 1617 nel palazzo di Ambrogio Doria Lamba, attuale sede della Banca di Roma, mentre una certa rispondenza compositiva si riscontra con la figura di uno dei prigionieri che seguono il carro trionfale di Ranieri Grimaldi nella scena centrale della volta del piano nobile del palazzo di Francesco Grimaldi, quello che oggi è la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, riferito cronologicamente allo stesso periodo. (Boccardo in Boccardo, Priarone 2009, p. 8)