Dipinto con montatura originaria sandan hyōgu in seta: ichimonji e fūtai in ginran a fondo avorio con disegni di tesori buddhisti; chūberi in ginran a fondo verde con piccoli girali a doppio stelo con peonie; jōge in nishiki a fondo blu scuro con motivo geometrico di triple linee diagonali incrociate formanti maglie a losanga e grandi disegni di medaglioni a "cristalli di neve" a fondo verde malva in doppie file orizzontali, racchiudenti composizioni floreali in vaso e coppie d'uccelli con fiori, ricavato da un obi e risalente al medio periodo Edo; jikushu in avorio. Raffigura una cortigiana seduta in un interno che, dopo una performance di canto e shamisen, si diverte con un gatto, istingandolo al gioco con un fazzoletto colorato appeso al fornello di una pipa. Sullo sfondo si vede una porta scorrevole dipinta con un arenile, pini e onde a embrice. Dietro di essa compare un paravento aperto visto d'infilata, ai piedi del quale spunta il manico dello shamisen posato sul tatami, con il plettro d'avorio inserito sotto le corde. Nel tokonoma a destra è incassato in piccolo armadio ad ante scorrevoli decorato con raffigurazioni di rondini su uno scoglio tra onde montanti. La donna è appoggiata a coltri intiepidite da un totatsu. Indossa un soprabito nero e un abito vermiglio, entrambi riccamente ricamati. La veste è chiusa da un obi verde con cespi di paulonia. L'acconciatura è fermata da due pettini e da un nastro bianco.
Nell'antichità il gatto domestico non viveva in Giappone: vi fu introdotto dall'Asia Continentale nel VI secolo insieme alle scritture buddhiste, per difenderle dalle incursioni e dai danni causati dai roditori. Inizialmente presente solo negli ambienti e nei ginecei di corte come animale da compagnia, il gatto era ancora piuttosto raro tra il IX e l'XI secolo, ma nel tardo periodo Heian divenne abbastanza comune e nei secoli successivi si diffuse presso ogni ambiente sociale.
Come in Occidente, anche in Giappone il gatto fu particolarmente caro alle donne: ne danno prova sia la letteratura antica sia l'arte ukiyoe, che mostra cortigiane, fanciulle e signore di città intente a giocare con i loro micetti e a vezzeggiarli teneramente. Per la sua grazia e le sue movenze flessuose, il gatto è comunemente considerato in Giappone un traslato animale della donna, con speciale riguardo alla cortigiana e alla geisha.
Dipinto con montatura originaria sandan hyōgu in seta: ichimonji e fūtai in ginran a fondo avorio con disegni di tesori buddhisti; chūberi in ginran a fondo verde con piccoli girali a doppio stelo con peonie; jōge in nishiki a fondo blu scuro con motivo geometrico di triple linee diagonali incrociate formanti maglie a losanga e grandi disegni di medaglioni a "cristalli di neve" a fondo verde malva in doppie file orizzontali, racchiudenti composizioni floreali in vaso e coppie d'uccelli con fiori, ricavato da un obi e risalente al medio periodo Edo; jikushu in avorio. Raffigura una cortigiana seduta in un interno che, dopo una performance di canto e shamisen, si diverte con un gatto, istingandolo al gioco con un fazzoletto colorato appeso al fornello di una pipa. Sullo sfondo si vede una porta scorrevole dipinta con un arenile, pini e onde a embrice. Dietro di essa compare un paravento aperto visto d'infilata, ai piedi del quale spunta il manico dello shamisen posato sul tatami, con il plettro d'avorio inserito sotto le corde. Nel tokonoma a destra è incassato in piccolo armadio ad ante scorrevoli decorato con raffigurazioni di rondini su uno scoglio tra onde montanti. La donna è appoggiata a coltri intiepidite da un totatsu. Indossa un soprabito nero e un abito vermiglio, entrambi riccamente ricamati. La veste è chiusa da un obi verde con cespi di paulonia. L'acconciatura è fermata da due pettini e da un nastro bianco.
lungo il bordo destro più o meno a metà del dipinto
ISRI:
Ōmori Sōun ke zu 大森捜雲家圖
Stemmi, emblemi, marchi (STM)
STMC:
sigillo
STMU:
1
STMP:
lungo il bordo destro del dipinto, sotto la firma
STMD:
sigillo a vaso con caratteri non decifrati
Notizie storico-critiche (NSC)
Nell'antichità il gatto domestico non viveva in Giappone: vi fu introdotto dall'Asia Continentale nel VI secolo insieme alle scritture buddhiste, per difenderle dalle incursioni e dai danni causati dai roditori. Inizialmente presente solo negli ambienti e nei ginecei di corte come animale da compagnia, il gatto era ancora piuttosto raro tra il IX e l'XI secolo, ma nel tardo periodo Heian divenne abbastanza comune e nei secoli successivi si diffuse presso ogni ambiente sociale.
Come in Occidente, anche in Giappone il gatto fu particolarmente caro alle donne: ne danno prova sia la letteratura antica sia l'arte ukiyoe, che mostra cortigiane, fanciulle e signore di città intente a giocare con i loro micetti e a vezzeggiarli teneramente. Per la sua grazia e le sue movenze flessuose, il gatto è comunemente considerato in Giappone un traslato animale della donna, con speciale riguardo alla cortigiana e alla geisha.
Condizione giuridica (CDG)
Indicazione generica (CDGG):
proprietà Ente pubblico territoriale
Indicazione specifica (CDGS):
Comune di Genova
Documentazione fotografica (FTA)
FTAX:
documentazione allegata
FTAP:
fotografia digitale
FTAN:
CH01P-230
FTAF:
tif
Bibliografia (BIB)
BIBX:
bibliografia specifica
BIBA:
Failla Donatella
BIBD:
2014
BIBN:
pp. 97, 208, n. 31
BIBI:
fig. 31
Citazione completa (BIL)
Donatella Failla (a cura di), La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova, Catalogo della mostra, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2014.
Mostre (MST)
MSTT:
La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova