Nell’iconografia artistica a carattere marittimo dell’età moderna la galea è uno dei soggetti principali. Molto più rari sono i disegni tecnici.
Il nostro non riporta alcuna data, però la corona regia disegnata sulla testa del timone la colloca posteriore al 1637, anno in cui la Repubblica di Genova elesse a sua Regina Maria la Madre di Dio.
In alto a destra è segnata una scala di palmi genovesi, dalla quale si evince una lunghezza dello scafo di 56 goe (=168 palmi, circa 51 metri), la quale come è noto fu appunto la lunghezza tipica delle galee genovesi. La scala del disegno è dunque circa 1:30.
A sinistra una legenda numerata aiuta a identificare le varie parti strutturali dello scafo, nonchè i locali interni detti “camere”, ognuno dei quali aveva una funzione ben specifica. Esse sono rappresentate in un abbozzo di vista prospettica, che conferisce al disegno una gradevole tridimensionalità.
La poppa sottocoperta è occupata per un quarto circa della lunghezza da alloggi per passeggeri: in primis il capitano e il cappellano, quindi altre due – piuttosto ampi - per eventuali ospiti “di riguardo”.
A prua un altro quarto, o poco meno, della lunghezza della nave è occupato da altri alloggi per il personale di bordo: l'aguzzino e il chirurgo del quale si mette in evidenza un cassone, certamente contenente i ferri e il povero materiale di medicazione di cui disponeva la medicina dell'epoca. Infine vi è il gavone di prua, che era a un tempo alloggio per qualche altro sottufficiale e magazzino di materiali vari.
La rimanente metà centrale della nave era occupata nella sua porzione a poppavia dell'albero di maestra da locali destinati principalmente ai viveri: la dispensa - con la suggestiva indicazione di alcuni fiaschi, di un prosciutto appeso, di alcune forme di cacio stese su un ripiano e di alcune botti (certamente per l’acqua, di cui la galea si riforniva spesso) - e il pagliolo del biscotto - altrimenti detto “galletta del marinaio” - ovvero la principale fonte di carboidrati, che andava integrato con gli alimenti precedenti, carne o pesce seccati o salati e una buona dose di legumi, fonte di proteine. Il tutto a dimostrazione che la dieta dei vogatori era ben bilanciata per ottenere da essi il rendimento ottimale. Va dunque sfatato il mito che la loro condizione fosse al limite della morte per fame e stenti; anzi vi sono notizie di cibo supplementare – ad esempio uova - per i malati.
Fa seguito un locale. pure abbastanza ampio, al quale la leggenda annessa al nostro disegno attribuisce il nome di camera di mezzo, dai Francesi chiamata “chambre de miége” oppure “taverne”: aveva lo scopo di contenere altri viveri e del vino che il capitano imbarcava per smerciarli al minuto all'equipaggio di uomini liberi e ai soldati.
L'accesso a questo luogo di rivendita era agevolato, come mostra il disegno, da scale relativamente comode, necessarie per accedere rapidamente anche all’annessoalloggio della polvere; anche qui indicato da alcuni sacchi per la polvere da sparo, proiettili appilati e un corno per la misura delle cariche. E’ plausibiile che vi si tenessero anche armi e armature di riserva.
A pruavia dell'albero di maestra si trovano due locali denominati camera delle vele e camera delle gomene, queste ultime utilizzate non solo per la manovra delle prime ma anche per salpare le ancore.
Quanto importante risultasse la dotazione di viveri emerge dalla ampiezza dei locali suddetti, che assomma a circa un terzo della lunghezza della galea, quella più panciuta. Del resto una galea poteva arrivare a imbarcare 400 uomini di equipaggio, di cui 2/3 vogatori, il “combustibile” principale dell’imbarcazione.
Un’ultima considerazione. Nell’epoca dei piroscafi nessuna nave destinava tanto spazio al combustibile – allora il carbone - liberando così in confronto molto più spazio per il carico utile; quest’ultimo nella galea risultava davvero molto ridotto, sino a rendere il suo esercizio commerciale antieconomico, almeno dal momento in cui spezie, seta e merci preziose dell’Oriente furono solo un ricordo. Rimaneva il suo utilizzo militare: anche questo tuttavia andò sempre più scemando con l’avvento delle artiglierie, che la galea poteva imbarcare in misure nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei grandi galeoni.
Nell’iconografia artistica a carattere marittimo dell’età moderna la galea è uno dei soggetti principali. Molto più rari sono i disegni tecnici.
Il nostro non riporta alcuna data, però la corona regia disegnata sulla testa del timone la colloca posteriore al 1637, anno in cui la Repubblica di Genova elesse a sua Regina Maria la Madre di Dio.
In alto a destra è segnata una scala di palmi genovesi, dalla quale si evince una lunghezza dello scafo di 56 goe (=168 palmi, circa 51 metri), la quale come è noto fu appunto la lunghezza tipica delle galee genovesi. La scala del disegno è dunque circa 1:30.
A sinistra una legenda numerata aiuta a identificare le varie parti strutturali dello scafo, nonchè i locali interni detti “camere”, ognuno dei quali aveva una funzione ben specifica. Esse sono rappresentate in un abbozzo di vista prospettica, che conferisce al disegno una gradevole tridimensionalità.
La poppa sottocoperta è occupata per un quarto circa della lunghezza da alloggi per passeggeri: in primis il capitano e il cappellano, quindi altre due – piuttosto ampi - per eventuali ospiti “di riguardo”.
A prua un altro quarto, o poco meno, della lunghezza della nave è occupato da altri alloggi per il personale di bordo: l'aguzzino e il chirurgo del quale si mette in evidenza un cassone, certamente contenente i ferri e il povero materiale di medicazione di cui disponeva la medicina dell'epoca. Infine vi è il gavone di prua, che era a un tempo alloggio per qualche altro sottufficiale e magazzino di materiali vari.
La rimanente metà centrale della nave era occupata nella sua porzione a poppavia dell'albero di maestra da locali destinati principalmente ai viveri: la dispensa - con la suggestiva indicazione di alcuni fiaschi, di un prosciutto appeso, di alcune forme di cacio stese su un ripiano e di alcune botti (certamente per l’acqua, di cui la galea si riforniva spesso) - e il pagliolo del biscotto - altrimenti detto “galletta del marinaio” - ovvero la principale fonte di carboidrati, che andava integrato con gli alimenti precedenti, carne o pesce seccati o salati e una buona dose di legumi, fonte di proteine. Il tutto a dimostrazione che la dieta dei vogatori era ben bilanciata per ottenere da essi il rendimento ottimale. Va dunque sfatato il mito che la loro condizione fosse al limite della morte per fame e stenti; anzi vi sono notizie di cibo supplementare – ad esempio uova - per i malati.
Fa seguito un locale. pure abbastanza ampio, al quale la leggenda annessa al nostro disegno attribuisce il nome di camera di mezzo, dai Francesi chiamata “chambre de miége” oppure “taverne”: aveva lo scopo di contenere altri viveri e del vino che il capitano imbarcava per smerciarli al minuto all'equipaggio di uomini liberi e ai soldati.
L'accesso a questo luogo di rivendita era agevolato, come mostra il disegno, da scale relativamente comode, necessarie per accedere rapidamente anche all’annessoalloggio della polvere; anche qui indicato da alcuni sacchi per la polvere da sparo, proiettili appilati e un corno per la misura delle cariche. E’ plausibiile che vi si tenessero anche armi e armature di riserva.
A pruavia dell'albero di maestra si trovano due locali denominati camera delle vele e camera delle gomene, queste ultime utilizzate non solo per la manovra delle prime ma anche per salpare le ancore.
Quanto importante risultasse la dotazione di viveri emerge dalla ampiezza dei locali suddetti, che assomma a circa un terzo della lunghezza della galea, quella più panciuta. Del resto una galea poteva arrivare a imbarcare 400 uomini di equipaggio, di cui 2/3 vogatori, il “combustibile” principale dell’imbarcazione.
Un’ultima considerazione. Nell’epoca dei piroscafi nessuna nave destinava tanto spazio al combustibile – allora il carbone - liberando così in confronto molto più spazio per il carico utile; quest’ultimo nella galea risultava davvero molto ridotto, sino a rendere il suo esercizio commerciale antieconomico, almeno dal momento in cui spezie, seta e merci preziose dell’Oriente furono solo un ricordo. Rimaneva il suo utilizzo militare: anche questo tuttavia andò sempre più scemando con l’avvento delle artiglierie, che la galea poteva imbarcare in misure nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei grandi galeoni.
Acquisizione (ACQ)
ACQT:
provenienza
Nome (ACQN):
Archivio dei Padri del Comune
Condizione giuridica (CDG)
Indicazione generica (CDGG):
proprietà Ente pubblico territoriale
Indicazione specifica (CDGS):
Comune di Genova
Indirizzo (CDGI):
Via G. Garibaldi, 9
Documentazione fotografica (FTA)
FTAX:
documentazione allegata
FTAP:
fotografia digitale
Mostre (MST)
MSTT:
ex museid
Specifiche di accesso ai dati (ADS)
Profilo di accesso (ADSP):
1
Motivazione (ADSM):
scheda contenente dati liberamente accessibili
Compilazione (CMP)
Data (CMPD):
2019
Nome (CMPN):
Carosio, Giovanni
Funzionario responsabile (FUR)
Campodonico, Pierangelo
Osservazioni (OSS)
Il disegno non ha alcuna datazione; tuttavia la corona regia sulla testa della pala del timone la indica
come posteriore al 1637, anno in cui la repubblica genovese elesse Maria a Regina di Genova.
Sul foglio del disegno è segnata una scala di palmi genovesi, dalla quale si rileva che esso rappresenta nella scala di circa 1:30 una galea avente la lunghezza di quasi 47 metri, la quale fu appunto la lunghezza tipica delle galee mediterranee dopo che una esperienza secolare ne aveva consolidata la forma e la grandezza in un tipo comune ai vari stati marittimi.