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Catena di contenzione

Galata Museo del Mare
Tipologia (OGTT)
di contenzione
OGT
OGTD:
catena
Ambito culturale (ATB)
ATBD:
ambito genovese
ATBM:
provenienza
Descrizione (DES)
catena con manette e cavigliere
Altri inventari (INV)
INVN:
3491
INVD:
12/6/1922
Cronologia (DT)
DTZG:
sec. XVI
ADTS:
documentazione
Materia e tecnica (MTC)
MTCT_BLOCK:
accettatura
MTCM:
ferro
MTCT:
forgiatura
Notizie storico-critiche (NSC)
A bordo delle galee i vogatori erano tutti incatenati, indipendentemente dalla loro condizione. La catena doveva essere leggera per non impacciarne i movimenti.
Lo schiavo era una “merce” preziosa: il fabbro che ne liberava uno dalla catena, era condannato all’impiccagione. Nel periodo dello “sciverno” – quando la navigazione era interdetta – gli schiavi potevano lavorare in città e anche esercitare piccoli traffici. Erano comunque riconoscibili a causa dell’ anello al piede: una stoffa impediva che la caviglia si piagasse.
Oltre ai vogatori sulle galee, molti schiavi si trovavano a servizio presso le dimore nobiliari genovesi. Sin dal Medioevo e per tutta l’età moderna, il numero degli schiavi a Genova è stato stimato in circa 2000 persone, uomini e donne in maggioranza slavi e caucasici.
Gli schiavi musulmani godevano di una certa libertà religiosa: un edificio in Darsena fungeva da moschea; dolente fu invece la sorte degli Ebrei cacciati dalla Spagna nel 1492.
Nel corso del ‘700, con il diffondersi dell’Illuminismo e dell’idea dei diritti dell’uomo, la schiavitù in Europa diventò sempre più anacronistica. Alla caduta della Repubblica aristocratica (1797), a Genova gli schiavi delle galee erano poche decine, spesso anziani e in condizioni deplorevoli. Essi furono tutti liberati al termine di una cerimonia pubblica, cui partecipò commosso tutto il popolo. Le catene furono esposte simbolicamente su un “Albero della Libertà”. Da lì a poco furono tutti rimpatriati senza il pagamento di alcun riscatto.