La tela è concepita en pendant con un "Cristo e l’adultera" dal pittore veneto Palma il Giovane, che le firmò e le datò entrambe “1599”: le due tele presentano due soggetti neotestamentari dal forte significato sacramentale.
Nell'opera in oggetto è rappresentato il colloquio tra Cristo e una samaritana presso il pozzo di Giacobbe nella città di Sicar in Samaria, come narrato dal Vangelo di Giovanni (4, 5-30): Gesù, in viaggio dalla Giudea alla Galilea, stanco, avrebbe domandato da bere a una donna che attingeva acqua, la quale, intimorita, gli avrebbe chiesto: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. Non erano infatti buoni i rapporti tra Giudei e Samaritani. A questo interrogativo Gesù avrebbe come noto replicato: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: «Dammi da bere», tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva […] chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (4, 10-14).
La samaritana è una peccatrice, e per di più nasconde la sua condotta a Gesù, affermando di non avere marito; ma Cristo replica: “Hai detto bene […] infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” (4, 17-18).
Anche nella seconda opera è raffigurato l’incontro tra Cristo e una peccatrice, un’adultera che viene condotta dagli scribi e dai farisei presso Gesù nel tempio perché ne approvi la condanna alla lapidazione. L’episodio è ancora tramandato dal Vangelo di Giovanni (8, 1-11).
Nella traduzione figurativa data dall’artista ai due episodi è rispettato il testo evangelico, secondo i dettami dell’arte controriformata, senza l’aggiunta di elementi accessori alla narrazione: nella tela in esame la donna in primo piano sulla destra ci volge le spalle, in una posa scorciata ripresa, nella sua diagonale, dalla posa del Cristo. Adolfo Venturi vi coglieva “tutta una sensibilità pittorica secentesca, quasi un anticipo dell’arte di Bernardo Strozzi, un trentennio”: “sulla testa della donna le ciocche s’incurvano come alghe umide al sole: sullo spessor corroso dei drappi di Cristo, la mano sinistra par disfarsi nell’ombra, e la testa, bruna contro l’alone falotico del Palma, con occhi immensi di magnetica tristezza” (Venturi 1934, pp. 223-224; sull’argomento anche Fenyö 1958, pp. 143-150).
E’ volutamente esaltata, in entrambe le opere, l’assoluta castità di Gesù, che non ha alcun contatto fisico con le due figure femminili e non è intaccato dalla loro carnalità, cui Palma allude - nelle ampie scollature delle vesti e nella giovinezza delle due donne - ma senza accentuarla o esibirla.
Nel Cristo e l’adultera si affaccia inoltre il tema del pentimento, nello sguardo basso della giovane che, con i polsi legati da una corda, non oppone resistenza alla sua condanna. La critica ha sottolineato la “forte valenza eucaristica” della coppia di tele, in cui “il pentimento esemplificato nell’adultera, deve precedere l’accostamento alla grazia divina attraverso l’eucarestia, cui allude l’acqua nell’episodio della samaritana” (S. Mason Rinaldi in Palma il Giovane 1990, p. 206 cat. 88).
Colpisce infine il ‘silenzio’, la sospensione, la pausa in cui paiono essere immersi entrambi i dipinti, così da assumere carattere di insegnamento universale.
Le due tele sono dipinte dall’artista in un anno molto denso di committenze, il 1599, in cui il pittore firma opere importanti per la committenza religiosa, a Venezia ma non solo, alcune delle quali di grande impegno, come la pala per la chiesa degli Zoccolanti a Potenza Picena. La concezione en pendant dei due quadri, con temi iconografici che si rispondono e si completano a vicenda, porta a supporre una committenza precisa, e non possiamo d’altra parte escludere una loro presenza precoce in Genova - nelle cui collezioni sono attestate già dai primi decenni del Seicento opere del maestro veneto (cfr. Boccardo in L’età di Rubens 2004, cat. 38 p. 228; p. 284) - visto che tra le più dirette derivazioni che conosciamo del Cristo e la Samaritana del Palma possiamo indicare il dipinto di un genovese: la tela di ugual soggetto di Domenico Fiasella oggi negli stessi Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco (inv. PB508).
(scheda in M. Priarone in Verdammte Lust! Kirche. Körper. Kunst, catalogo della mostra (Freising), München 2023, cat. 4. 28 pp. 100-101).
La tela è concepita en pendant con un "Cristo e l’adultera" dal pittore veneto Palma il Giovane, che le firmò e le datò entrambe “1599”: le due tele presentano due soggetti neotestamentari dal forte significato sacramentale.
Nell'opera in oggetto è rappresentato il colloquio tra Cristo e una samaritana presso il pozzo di Giacobbe nella città di Sicar in Samaria, come narrato dal Vangelo di Giovanni (4, 5-30): Gesù, in viaggio dalla Giudea alla Galilea, stanco, avrebbe domandato da bere a una donna che attingeva acqua, la quale, intimorita, gli avrebbe chiesto: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. Non erano infatti buoni i rapporti tra Giudei e Samaritani. A questo interrogativo Gesù avrebbe come noto replicato: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: «Dammi da bere», tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva […] chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (4, 10-14).
La samaritana è una peccatrice, e per di più nasconde la sua condotta a Gesù, affermando di non avere marito; ma Cristo replica: “Hai detto bene […] infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” (4, 17-18).
Anche nella seconda opera è raffigurato l’incontro tra Cristo e una peccatrice, un’adultera che viene condotta dagli scribi e dai farisei presso Gesù nel tempio perché ne approvi la condanna alla lapidazione. L’episodio è ancora tramandato dal Vangelo di Giovanni (8, 1-11).
Nella traduzione figurativa data dall’artista ai due episodi è rispettato il testo evangelico, secondo i dettami dell’arte controriformata, senza l’aggiunta di elementi accessori alla narrazione: nella tela in esame la donna in primo piano sulla destra ci volge le spalle, in una posa scorciata ripresa, nella sua diagonale, dalla posa del Cristo. Adolfo Venturi vi coglieva “tutta una sensibilità pittorica secentesca, quasi un anticipo dell’arte di Bernardo Strozzi, un trentennio”: “sulla testa della donna le ciocche s’incurvano come alghe umide al sole: sullo spessor corroso dei drappi di Cristo, la mano sinistra par disfarsi nell’ombra, e la testa, bruna contro l’alone falotico del Palma, con occhi immensi di magnetica tristezza” (Venturi 1934, pp. 223-224; sull’argomento anche Fenyö 1958, pp. 143-150).
E’ volutamente esaltata, in entrambe le opere, l’assoluta castità di Gesù, che non ha alcun contatto fisico con le due figure femminili e non è intaccato dalla loro carnalità, cui Palma allude - nelle ampie scollature delle vesti e nella giovinezza delle due donne - ma senza accentuarla o esibirla.
Nel Cristo e l’adultera si affaccia inoltre il tema del pentimento, nello sguardo basso della giovane che, con i polsi legati da una corda, non oppone resistenza alla sua condanna. La critica ha sottolineato la “forte valenza eucaristica” della coppia di tele, in cui “il pentimento esemplificato nell’adultera, deve precedere l’accostamento alla grazia divina attraverso l’eucarestia, cui allude l’acqua nell’episodio della samaritana” (S. Mason Rinaldi in Palma il Giovane 1990, p. 206 cat. 88).
Colpisce infine il ‘silenzio’, la sospensione, la pausa in cui paiono essere immersi entrambi i dipinti, così da assumere carattere di insegnamento universale.
Le due tele sono dipinte dall’artista in un anno molto denso di committenze, il 1599, in cui il pittore firma opere importanti per la committenza religiosa, a Venezia ma non solo, alcune delle quali di grande impegno, come la pala per la chiesa degli Zoccolanti a Potenza Picena. La concezione en pendant dei due quadri, con temi iconografici che si rispondono e si completano a vicenda, porta a supporre una committenza precisa, e non possiamo d’altra parte escludere una loro presenza precoce in Genova - nelle cui collezioni sono attestate già dai primi decenni del Seicento opere del maestro veneto (cfr. Boccardo in L’età di Rubens 2004, cat. 38 p. 228; p. 284) - visto che tra le più dirette derivazioni che conosciamo del Cristo e la Samaritana del Palma possiamo indicare il dipinto di un genovese: la tela di ugual soggetto di Domenico Fiasella oggi negli stessi Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco (inv. PB508).
(scheda in M. Priarone in Verdammte Lust! Kirche. Körper. Kunst, catalogo della mostra (Freising), München 2023, cat. 4. 28 pp. 100-101).