Maschera lignea intarsiata e dipinta di un rosa chiarissimo realizzata con la mandibola mobile, consentendo all'attore che la utilizzava di far aprire e chiudere la bocca. L'oggetto raffigura il dettagliato muso di una volpe, forse una nogitsune (野狐) dal pelo fulvo, contratto in un sogghigno.
DES
DESS:
Animali: volpe.
SGT
SGTI:
volpe
Inventario di museo o soprintendenza
INVN:
M-764
DTZ
DTZG:
XIX
Cronologia (DT)
DTM:
analisi stilistica
ADT:
Tardo Periodo Edo
DTSI:
1801
DTSF:
1900
MTC
MTC:
legno intagliato, laccato e dipinto
Notizie storico-critiche (NSC)
Sviluppatosi accanto al nō (能), il kyōgen (狂言) si distingue da esso per la sua struttura agile, imperniata sul warai (riso 笑), sui dialoghi e su temi della quotidianità. Il termine, un prestito del grande poeta cinese Bai Juyi, significa “parole della follia”, ed era inizialmente utilizzato in senso spregiativo per indicare tutte le forme letterarie legate alla finzione, la musica e la danza, e in seguito semplicemente le arti del palcoscenico. Come codificato in epoca Tokugawa, nel programma di una giornata di rappresentazioni nō (canonicamente cinque), devono alternarsi quattro kyōgen, con la funzione di allentare la tensione lasciata dai drammi portati precedentemente in scena.
Queste rappresentazioni contano da due a massimo quattro personaggi, e i principali sono detti shite (il protagonista) e ado (l’interlocutore). Sono solitamente coppie contrapposte (marito-moglie, padrone-servo, divinità-fedele, …), e gli intrecci sono piuttosto semplici, così come i movimenti sul palco. Non vi è l’accompagnamento del coro e sono gli attori a produrre suoni e rumori, ricorrendo anche a buffe onomatopee. Sono tuttavia presenti il canto e la danza, che talvolta si sostituiscono ai dialoghi. Quasi assenti gli attrezzi di scena, e l’uso delle maschere non è molto frequente: sono solo cinquanta le opere, su un repertorio di duecentocinquanta, in cui vengono indossate, in genere per personaggi particolari. Quelli umani infatti hanno sempre il volto dell’attore, anche nel caso di personaggi femminili. Le maschere del kyōgen, a differenza di quelle del nō, scolpite in modo che gli abilissimi attori, con movimenti sapienti, sfruttino la luce per produrre innumerevoli variazioni emotive sul volto raffigurato sulla maschera, si prestano alle sperimentazioni artistiche degli intagliatori.
Maschera lignea intarsiata e dipinta di un rosa chiarissimo realizzata con la mandibola mobile, consentendo all'attore che la utilizzava di far aprire e chiudere la bocca. L'oggetto raffigura il dettagliato muso di una volpe, forse una nogitsune (野狐) dal pelo fulvo, contratto in un sogghigno.
DES
DESS:
Animali: volpe.
Notizie storico-critiche (NSC)
Sviluppatosi accanto al nō (能), il kyōgen (狂言) si distingue da esso per la sua struttura agile, imperniata sul warai (riso 笑), sui dialoghi e su temi della quotidianità. Il termine, un prestito del grande poeta cinese Bai Juyi, significa “parole della follia”, ed era inizialmente utilizzato in senso spregiativo per indicare tutte le forme letterarie legate alla finzione, la musica e la danza, e in seguito semplicemente le arti del palcoscenico. Come codificato in epoca Tokugawa, nel programma di una giornata di rappresentazioni nō (canonicamente cinque), devono alternarsi quattro kyōgen, con la funzione di allentare la tensione lasciata dai drammi portati precedentemente in scena.
Queste rappresentazioni contano da due a massimo quattro personaggi, e i principali sono detti shite (il protagonista) e ado (l’interlocutore). Sono solitamente coppie contrapposte (marito-moglie, padrone-servo, divinità-fedele, …), e gli intrecci sono piuttosto semplici, così come i movimenti sul palco. Non vi è l’accompagnamento del coro e sono gli attori a produrre suoni e rumori, ricorrendo anche a buffe onomatopee. Sono tuttavia presenti il canto e la danza, che talvolta si sostituiscono ai dialoghi. Quasi assenti gli attrezzi di scena, e l’uso delle maschere non è molto frequente: sono solo cinquanta le opere, su un repertorio di duecentocinquanta, in cui vengono indossate, in genere per personaggi particolari. Quelli umani infatti hanno sempre il volto dell’attore, anche nel caso di personaggi femminili. Le maschere del kyōgen, a differenza di quelle del nō, scolpite in modo che gli abilissimi attori, con movimenti sapienti, sfruttino la luce per produrre innumerevoli variazioni emotive sul volto raffigurato sulla maschera, si prestano alle sperimentazioni artistiche degli intagliatori.