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Clorinda libera Olindo e Sofronia dal rogo

Musei di Strada Nuova
Definizione bene (OGT)
OGTD:
dipinto
Identificazione (OGTV):
opera isolata
Autore (AUT)
AUTR:
esecutore
AUTM:
bibliografia
AUTN:
Preti, Mattia detto il Cavalier Calabrese
AUTA:
1613 - 1699
DES
DESS:
Personaggi: Clorinda, Olindo, Sofronia, soldati. Figure: uomini, donne, amorino. Abbigliamento: corazza, elmo; camicia, giubba; lembo di stoffa
Titolo (SGTT)
Clorinda libera Olindo e Sofronia dal rogo
SGT
SGTI:
Clorinda libera Olindo e Sofronia dal rogo
Inventario di museo o soprintendenza
INVN:
PR 63
INVD:
POST 1910
INVC:
Palazzo Rosso
DTZ
DTZG:
sec. XVII
Cronologia (DT)
DTZS:
secondo quarto
DTM:
bibliografia
DTSI:
1646
DTSF:
1646
MTC
MTC:
olio su tela
Notizie storico-critiche (NSC)
La tela fu commissionata dal Cardinale Giovan Battista Pallotta nel 1646 per far da pendant a quel "damone e pizia" che egli aveva pagato al Guercino nel 1632. I due dipinti seguirono, poi, iter differenti e l'opera in questione, acquistata da Gio. Francesco I Brignole-Sale, comparve nell'inventario della quadreria di Palazzo Rosso (ante 1684), con la valutazione di ben 3000 lire genovesi. Le due storie, pur derivando una dalla storia greca e l'altra dall'epica cavalleresca, si prestavano bene ad essere associate in quanto rappresentano entrambe esempi emblematici di eroica amicizia. Nel caso del dipinto di mattia preti è Torquato Tasso (Gerusalemme Liberata, II, 16-53) a raccontare di Olindo e Sofronia che furono condannati al rogo da Aladino, re di Gerusalemme, per essersi entrambi autoaccusati di un furto sacrilego. Nel momento cruciale vennero salvati da Clorinda, mossa a compassione per loro. Anche il soggetto di Damone e Pizia ripropone il tema della giustizia e della grazia per i condannati, concetti assai adeguati alla celebrazione del Cardinal Pallotta ad opera di Ciaconio che recita "fu tanta la fama della sua giustizia...essendo stato versato solo di rado il sangue dei rei...". Tali cosiderazioni dimostrano come l'attuale pendant in Palazzo Rosso di questo quadro, cioè la "resurrezione di lazzaro", anch'esso di Mattia Preti, è in relazione con esso solo per dimensioni, non essendo accumunato né dall'iconografia né dallo stile.