Questo grande dipinto di Luciano Borzone, pittore genovese assai vicino ai modi degli artisti lombardi Procaccini, Crespi e Cerano, costituiva la pala d’altare della cappella di san Giovanni nella chiesa di Santo Spirito a Genova, di cui Borzone aveva firmato tutto l’apparato decorativo. Esso constava di altre sei tele, di dimensioni minori, purtroppo disperse in seguito allo scioglimento degli ordini religiosi, attuato dal 1798 dalla Repubblica Ligure, rendendo impossibile oggi la ricostruzione dell’insieme.
Le opere del Borzone “per essere colorite con forza e molto bene studiate nel componimento indussero Orazio Gentileschi a ricercar chi ne fosse l’autore, e visitarlo in sua casa per acquistarne l’amicizia, che fu tra loro mentre vissero inseparabile”: così il Soprani, nella sua “Vita de’ Pittori e Scultori e Architetti Genovesi” (1674), riferisce l’impressione che un artista di fama come Gentileschi ebbe vedendo l’arte del maestro genovese.
La menzione di Gentileschi fornisce anche il terminus ante quem dell’esecuzione dell’opera che si colloca fra il 1620, data della costruzione della cappella e il 1621, quando il maestro, durante il suo soggiorno genovese, la vide.
Si tratta di un’opera giovanile, dunque, ma già capolavoro, in cui il maestro riesce a coniugare sapientemente la cultura veneta con quella toscana. La sobrietà dell’impianto scenico, su cui giocano una smagliante veste cromatica e gli effetti luministici chiaroscurali, fa elegantemente risaltare l’imponenza di una cerimonia meditata, solenne, ma insieme affettuosa. La deliziosa scenetta dei putti intenti a interpretare l’iscrizione sul bindello dimenticato dal Battista, costituisce una prova di bravura nella resa del morbido chiaroscuro, contribuendo ad attenuare il tono austero dell’insieme.
Altre localizzazioni geografico-amministrative (LA)
PRVS:
Italia
PRVR:
Liguria
PRVP:
GE
PRVC:
Genova
PRCD:
SANTO SPIRITO
PRCT:
chiesa
TCL:
luogo di provenienza
Inventario di museo o soprintendenza
INVN:
PB 348
INVC:
Palazzo Bianco
DTZ
DTZG:
sec. XVII
Cronologia (DT)
DTZS:
primo quarto
ADT:
1620-1621 circa
DTSI:
1620
DTSV:
ca
DTSF:
1621
DTSL:
ca
Autore (AUT)
AUTR:
esecutore
AUTN:
Borzone, Luciano
AUTA:
1590 - 1645
Committenza (CMM)
CMMN:
Pinelli Moneglia Nicoletta
CMMD:
1621/1623 (?)
CMMC:
Sepoltura del fratello Agostino Pinetti
MTC
MTC:
olio su tela
Misure (MIS)
MISU:
cm
MISA:
252,5
MISL:
163
Stato di conservazione (STC)
Stato di conservazione (STCC):
discreto
Restauri (RST)
RSTD:
2001
RSTN:
Laboratorio M. Oberto
Notizie storico-critiche (NSC)
Questo grande dipinto di Luciano Borzone, pittore genovese assai vicino ai modi degli artisti lombardi Procaccini, Crespi e Cerano, costituiva la pala d’altare della cappella di san Giovanni nella chiesa di Santo Spirito a Genova, di cui Borzone aveva firmato tutto l’apparato decorativo. Esso constava di altre sei tele, di dimensioni minori, purtroppo disperse in seguito allo scioglimento degli ordini religiosi, attuato dal 1798 dalla Repubblica Ligure, rendendo impossibile oggi la ricostruzione dell’insieme.
Le opere del Borzone “per essere colorite con forza e molto bene studiate nel componimento indussero Orazio Gentileschi a ricercar chi ne fosse l’autore, e visitarlo in sua casa per acquistarne l’amicizia, che fu tra loro mentre vissero inseparabile”: così il Soprani, nella sua “Vita de’ Pittori e Scultori e Architetti Genovesi” (1674), riferisce l’impressione che un artista di fama come Gentileschi ebbe vedendo l’arte del maestro genovese.
La menzione di Gentileschi fornisce anche il terminus ante quem dell’esecuzione dell’opera che si colloca fra il 1620, data della costruzione della cappella e il 1621, quando il maestro, durante il suo soggiorno genovese, la vide.
Si tratta di un’opera giovanile, dunque, ma già capolavoro, in cui il maestro riesce a coniugare sapientemente la cultura veneta con quella toscana. La sobrietà dell’impianto scenico, su cui giocano una smagliante veste cromatica e gli effetti luministici chiaroscurali, fa elegantemente risaltare l’imponenza di una cerimonia meditata, solenne, ma insieme affettuosa. La deliziosa scenetta dei putti intenti a interpretare l’iscrizione sul bindello dimenticato dal Battista, costituisce una prova di bravura nella resa del morbido chiaroscuro, contribuendo ad attenuare il tono austero dell’insieme.