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Pala Lomellini

Musei di Strada Nuova
Definizione bene (OGT)
OGTD:
pala d'altare
Identificazione (OGTV):
insieme
Autore (AUT)
AUTR:
esecutore
AUTN:
Lippi, Filippino
AUTA:
1457-1504
Indicazioni sull'oggetto (DESO)
Pala composta da una cimasa sovrastante raffigurante la Madonna col Bambino e angeli, e dalla tavola in cui sono rappresentati S. Sebastiano, S. Giovanni Battista e S. Francesco
Titolo (SGTT)
Pala Lomellini (S. Sebastiano fra S. Giovanni battista e S. Francesco - Madonna col Bambino e angeli)
SGT
SGTI:
S. Sebastiano fra S. Giovanni battista e S. Francesco
Inventario di museo o soprintendenza
INVN:
PB 261
INVC:
Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco
DTZ
DTZG:
XVI
Cronologia (DT)
DTM:
data
DTSI:
1502
DTSF:
1503
MTC
MTC:
olio su tavola di pioppo
Notizie storico-critiche (NSC)
Capolavoro assoluto delle collezioni civiche, questa tavola con cimasa è opera di uno dei pittori più interessanti e innovativi della scuola fiorentina di secondo Quattrocento, Filippino Lippi, figlio del frate carmelitano Filippo Lippo, anch’egli pittore di primo piano nella Firenze del XV secolo. La pala, realizzata tra il 1502 e il 1503 per la committenza di Francesco Lomellini, personaggio in vista del mondo politico genovese e avveduto committente, è eccellente esempio delle qualità pittoriche e dell’originalità di concezione della pittura di Filippino: la sua arte, infatti, testimonia l’incontro tra la grande tradizione rinascimentale toscana, con la sua attenzione al naturale e alla figura umana studiata nel suo rapporto con lo spazio, e un nuovo più inquieto sentire, che segna, già sullo scorcio del secolo, il superamento delle certezze, dell’equilibrio e della misura della prima stagione di ‘rinascita’ del Quattrocento. Le figure di Filippino, infatti, sono insolitamente allungate e asciutte, caratterizzate da una accentuazione patetica che si allontana dalla bellezza delle forme del primo ‘classicismo’ rinascimentale. La tavola di Palazzo Bianco è perfetto esempio della ‘poetica’ del pittore, trovando, anche nelle architetture che inquadrano san Sebastiano, san Giovanni Battista e san Francesco d’Assisi, elementi di bizzarria altamente significanti: tra le rovine ‘all’antica’ – di per sé elemento iconografico consueto, simbolo di trionfo dei valori cristiani sul mondo pagano - spicca infatti la presenza di una colonna in marmo rosso, tutto sommato poco coerente con il resto della costruzione. Inoltre il san Sebastiano trafitto da frecce, che occupa la posizione centrale della tavola, non è dipinto perfettamente in asse rispetto al basamento sul quale posa, assumendo una postura volutamente instabile, e forse proprio per bilanciare questo non consueto impianto compositivo l’artista dipinge in scansione non regolare i retrostanti elementi architettonici, compresa la colonna alla quale è legato il martire Sebastiano. Ad arricchire la complessità dei rimandi simbolici è la presenza, sulla sinistra della composizione, di una biscia nascosta tra le fessure degli antichi marmi, simbolo negativo di infedeltà contrapposto alla lucertola, animale di Dio, sempre riscaldato dai raggi del sole; e ancora, l’epigrafe sulla mensa ornata da arpie su cui è posto san Sebastiano reca l’iscrizione “IMP. DIO. ET. MAX”, che colloca la vicenda del martirio sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano. E’ opportuno sottolineare, osservando l’accuratezza e l’eleganza dei rilievi di questa base marmorea, che lo stesso Vasari ricorda l’uso frequente da parte di Filippino “delle cose antiche di Roma”, specie a seguito di un soggiorno nella città papale negli anni ‘80 del ‘400. Merita attenzione l’accuratezza di dettagli del paesaggio di fondo a destra, una veduta di campagna toscana piuttosto dettagliata con architetture e figurine delineate con precisione: una parentesi di narrazione contemporanea - sottolineata dalle fogge ‘moderne’ delle vesti e delle armature – che il pittore si concede nel quadro di questa rappresentazione sacra. La cimasa con una Madonna con Bambino tra due angeli si segnala, infine, per la finezza di accordi dei vivaci colori: un’immagine, questa volta, assolutamente ‘ultraterrena’ e spirituale. Il dipinto, inviato a Genova da Firenze, reca data e sigla del pittore sul retro.