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Già Venere e Marte / allegoria dell'intemperanza

Musei di Strada Nuova
Definizione bene (OGT)
OGTD:
dipinto
Identificazione (OGTV):
opera isolata
Autore (AUT)
AUTR:
esecutore
AUTM:
bibliografia
AUTN:
Rubens, Pieter Paul
AUTA:
1577 - 1640
DES
DESS:
Personaggi: Marte, Venere, Amorino, Bacco. Figure: una furia. Abbigliamento: armatura da lanzichenecco; veste scollata. Oggetti: tavolo, fiasca e calice d'argento.
Titolo (SGTT)
Già Venere e Marte / allegoria dell'intemperanza
SGT
SGTI:
Venere e Marte
Inventario di museo o soprintendenza
INVN:
PB 160
INVC:
Palazzo Bianco, terzo piano, piano nobile
DTZ
DTZG:
sec. XVII
Cronologia (DT)
DTZS:
seconda metà
DTM:
analisi stilistica
DTSI:
1632
DTSV:
post
DTSF:
1635
DTSL:
ante
MTC
MTC:
olio su tavole di rovere
Notizie storico-critiche (NSC)
Il dipinto si presenta come un’allegoria, in cui tradizionalmente sono state riconosciute le figure di Amore che disarma Marte, dio della guerra, il quale, attonito, si arrende al fascino procace di Venere e all’ebbrezza provocata dal vino contenuto nella fiasca argentea e nella coppa, offertagli da Bacco, il dio della gioia di vivere. Venere indossa abiti coevi e il suo volto e la sua tornita fisionomia rispecchiano canoni di bellezza comuni nella produzione rubensiana e non appartengono, come volevano gli inventari di casa Brignole - Sale, alla seconda moglie del pittore. Marte, invece, indossa il tipico abbigliamento del lanzichenecco e non è un autoritratto dell’artista, come valutavano i sopraccitati inventari, ma riproduce il volto, identico fin nell’espressione, di un membro della famiglia Van den Wijngaerd, che Rubens ritrasse almeno altre due volte. La Furia che irrompe, a destra, dalle ombre di un paesaggio che, a sinistra, si rivela desolato, arso e sconvolto dalla guerra, è stata realizzata con vibranti tocchi essenziali di bruno e nero direttamente sulla preparazione bruno-rossastra e si contrappone alla sensuosa intensità cromatica e all’intatta luminosità degli impasti delle figure in primo piano, di ascendenza tizianesca. Di recente il soggetto è stato interpretato più genericamente come una Allegoria della Intemperanza, rifiutando l’identificando dei due protagonisti come il dio della Guerra e la dea dell’Amore. , Capolavoro della tarda maturità dell’artista fiammingo, databile tra il 1632 e il 1635, la tavola è menzionata per la prima volta a Genova nel 1735 circa, quando risultava appartenere a Gio. Francesco II Brignole - Sale nel Palazzo Rosso; secondo una recente indagine, il dipinto sarebbe tuttavia giunto in città da Madrid circa una trentina d’anni prima, probabilmente per tramite di Francesco de Mari. Le vicende dell’opera nel trentennio successivo fino al 1735 sono ancora ignote.

Persona