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Vertumno e Pomona

Musei di Strada Nuova
Definizione bene (OGT)
OGTD:
dipinto
Identificazione (OGTV):
opera isolata
Autore (AUT)
AUTR:
esecutore
AUTM:
bibliografia
AUTN:
Van Dyck, Antoon
AUTA:
1599 - 1641
DES
DESS:
Personaggi: Vertumno, Pomona. Figure: amorino. Abbigliamento: veste, scialle sul capo; drappo che copre le gambe. Attributi: falce; arco e freccia.
Titolo (SGTT)
Vertumno e Pomona
SGT
SGTI:
Vertumno e Pomona
Inventario di museo o soprintendenza
INVN:
PB 2588
DTZ
DTZG:
sec. XVII
Cronologia (DT)
DTZS:
prima metà
DTM:
bibliografia
DTSI:
1601
DTSV:
post
DTSF:
1650
DTSL:
ante
MTC
MTC:
olio su tela
Notizie storico-critiche (NSC)
Entrato nelle raccolte civiche di Genova nel 1959 per effetto del legato del marchese Ambrogio Doria, il dipinto è attestato nella collezione della casata già a partire dalla seconda metà degli anni Trenta del XVIII secolo, anni cui dovrebbe credibilmente riferirsi un documento manoscritto dell’Archivio Storico del Comune di Genova che, elencando 400 dipinti di assoluto pregio presenti in quel momento in città, divisi per autori e con l’indicazione dei singoli proprietari d’allora, menziona per l'appunto tra le opere di “Antonio Vandich” una “Favola di Pomona da Giorgio Doria [1663-1746]” (Ristretto di differenti quadri..., in Migliorini 1997-1999, p. 218, nota 120 p. 228; Boccardo 2002, pp. 232-236; sulla collezione Doria da ultimo Marengo, Orlando 2018). Per quel che riguarda la sua provenienza precedente, invece, è giustamente accreditata la proposta di Boccardo di riconoscerla nella tela di ugual soggetto menzionata negli inventari della ricchissima collezione di Gaspar de Haro y Guzmán, settimo marchese del Carpio, stesi a Madrid nel 1689, dove l’opera appare descritta in termini tali da lasciare pochi dubbi sulla sua identificazione (Bulke, Cherry 1997, I, p. 837 n. 125; Boccardo 2002, p. 239 nota 46) per quanto vi sia una discrepanza di misure, che risulterebbero maggiori. Dai dati disponibili sulla raccolta del marchese del Carpio la critica ha supposto che le indicazioni dimensionali del suo inventario tenessero in conto anche le cornici, ma si ritiene comunque che il quadro abbia nel tempo subito una decurtazione, in particolare nel senso della larghezza (Boccardo 2002, p. 232 e nota 50; P. Boccardo, A. Orlando 2018), ipotesi che la stessa osservazione dell’opera pare suggerire. Il pittore vi rappresenta l’episodio, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (XIV, 610-697), della splendida ninfa Pomona, dedita solo alla cura del suo giardino e avversa a ogni pretendente, che si lascia ingannare e incantare da Vertumno, il dio che, governando il succedersi delle stagioni, aveva il potere di cambiare aspetto: tramutato in una vecchia dal carattere gentile, riesce infatti ad avvicinarsi alla ninfa e a parlarle d’amore, per poi riprendere le proprie sembianze e, complice Cupido, conquistarne le grazie. Il dipinto raffigura dunque un’anomala scena di seduzione, in cui Van Dyck riesce però a profondere la dolcezza del risveglio amoroso, espressa dal corpo morbido di Pomona e dai gesti sensuali dei due. Citata dalle fonti come “tema mitologico di Wandik” (Alizeri 1875, II, p. 447) e interpretata come Giove e Cerere a partire da Suida (1906, p. 166), la tela è riconosciuta correttamente nella sua iconografia da Vey (1962). L’influsso veneto, evidente nella scelta delle tinte - il rosso del manto di Pomona -, nella luminosità che modella i corpi attraverso graduali e sottili cambiamenti di tono negli incarnati, oltre che nella chiara ripresa di composizioni note di Tiziano, come le varie versioni della Danae che Van Dyck certamente aveva ammirato nelle redazioni per i Farnese e per Gio. Carlo Doria, è sottolineato dalla critica già a partire da Millar (1955) e Lee (1963), fino agli studi più recenti di Barnes (in Anthony van Dyck…, 1990, cat. 39; in Van Dyck…, 1997, cat. 65) e di Boccardo e Orlando (in Van Dyck…, 2018, cat. I.8). D’altra parte non pare impropria la vicinanza rilevata già da Morassi nel 1947 (Mostra della pittura…, 1947, cat. 24) tra la figura di Vertumno e quella del venditore ammantano e di profilo posta in primo piano nella Presentazione della Vergine al Tempio di Tiziano alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, ed è utile a questo proposito il richiamo fatto da Boccardo e Orlando alla presenza di numerose prove del cadorino, tra originali e copie, nella casa anversana di Van Dyck, anche dopo il suo rientro in patria (in Van Dyck…2018, cat. I.8). La suggestione dal pittore veneto proseguì dunque nel tempo e proprio Boccardo e Orlando (ibidem), confortati da questo dato, posticipano ormai con convinzione la datazione dell’opera - collocata precedentemente dalla critica al periodo genovese di Van Dyck a motivo della presenza del quadro già in antico in città (cfr. ancora in Barnes 2004, cat. II.22) - a dopo il ritorno in patria del maestro, trovando in particolare somiglianze con tele di ricordo veneto dei primi anni ‘30 (già Boccardo 2002, p. 236), come il Rinaldo e Armida di Baltimora - in cui il puttino sulla destra è molto vicino al Cupido del Vertumno e Pomona - e l’Amarilli e Mirtillo dell’École nationale supériore des beaux-arts di Parigi, in cui peraltro la figura femminile in primo piano porta lo stesso bracciale di Pomona. Acquista a questo punto particolare significato l’intuizione di Orlando che già nel 1996 aveva messo in dubbio per ragioni stilistiche la possibilità di riconoscere in Jan Roos, collaboratore di Van Dyck a Genova e specialista in nature morte, l’autore dei bei frutti in primo piano (Orlando 1996, nota 61). Priarone M. in "Van Dyck pittore di corte" Torino 2018 p. 230

Persona